Storie di soldati, di prigionieri e di intere famiglie travolte da una guerra lunga e incomprensibile. Attraverso i documenti di archivio seguiamo passo passo le vicende personali di protagonisti spesso dimenticati. Ma oltre ai feriti e ai morti in battaglia, per malattia, nei lontani campi di prigionia, la guerra ha fatto numerose vittime civili con i bombardamenti nemici sul territorio e con la disseminazione di oggetti di morte che hanno visto ferimenti e decessi tra uomini, donne e bambini del comune di Roncade. Una lunga scia di sangue che non è finita con l’armistizio, ma si è trascinata nel tempo. Il volume contiene una sezione di Appendici con la storia di Ferdinando Nardari e la sua vicenda personale sullo sfondo della Grande Guerra e un elenco dei Decorati e dei Caduti della Guerra a Roncade. L’Album fotografico infine, propone una serie di riprese, molte delle quali inedite, di scene di vita e di guerra nel territorio roncadese.
Il volume, ampiamente illustrato, presenta un’analisi dettagliata e completa del dipinto di Felice CasoratiPersone (1910). Opera cruciale della prima fase della ricerca casoratiana, il quadro appare quasi una prova generale, un centro intermedio di poetica, «un’opera d’arte mancata» che ha in sé da una parte i risultati delle esperienze, della ricerca, delle riflessioni compiute dall’artista fino a quel momento e dall’altra i germi del suo rinnovamento.
Per la prima volta nell’opera di Casorati, i mondi e i moti propri di ogni figura si mettono attorno a un tavolo rendendo esplicito il repertorio dei “tipi” (persone, personaggi, maschere, caratteri); alcuni di essi già trattati – la vecchietta, la bambina nuda di schiena e l’adolescente pensoso –, gli altri – l’uomo e le giovani donne – alla loro prima apparizione.
«Cogito ergo sum. Se Cartesio fosse stato in un campo di concentramento, direi con certezza che egli ha trovato il cardine della sua filosofia in esso. Penso dunque esisto. Se non pensassi non esisterei. E capovolgendo posso dire che sto qui per pensare». Il diario di Francesco Dal Fior, classe 1916 – catturato dai tedeschi in territorio greco il 9 settembre 1943 e internato per venti mesi nei campi di concentramento di Siedcle in Polonia e di Sandbostel e Wietzendorf in Germania – è una testimonianza preziosa.
In queste pagine un giovane uomo decide di registrare le sue memorie, le interminabili giornate di prigionia, fatte di angoscia, noia, speranza, incertezza, paura, fede, per lasciare una traccia, per non dimenticare, per cercare di capire, e, quasi involontariamente, per tramandare un messaggio di speranza alle generazioni future.
Un catalogo prezioso, che fa dialogare gli straordinari abiti di Roberto Capucci con le fotografie di Massimo Gardone, due artisti caratterizzati da un innato senso dell’astrazione che trovano una inaspettata sinergia all’interno di queste pagine, in cui le loro opere ci appaiono quasi generate dalla stessa mente creativa. I due artisti appartengono in realtà a generazioni, scuole, discipline diverse, ma sono uniti dallo stesso spirito creativo e da una grande sensibilità: in questi casi l’armonia viene spontanea.
20 fiori per 25 abiti, la cui lettura è arricchita dalle descrizioni di Enrico Minio Capucci e da interessanti schede botaniche di Matteo La Civita.
Testi introduttivi di Raffaella Sgubin, Carla Cerutti, Francesco Messina.
La ricerca sulla figura di Giulio De Vecchi condotta da Matteo Bonanomi è un buon esempio di come si possa oggi fare storia dell’arte riunendo con perizia, attenzione e curiosità le minute tessere di un mosaico complesso e d’impervia ricostruzione.
L’itinerario biografico, ricostruito attraverso un meticoloso scavo d’archivio, traccia una geografia che salda i maestri dell’Accademia di Venezia con i protagonisti della scuola napoletana, per poi toccare altri centri cruciali nell’elaborazione del lessico visivo nazionale quanto nella costruzione del mercato artistico più corrente. Quello di De Vecchi appare come un percorso errabondo e discontinuo, che salda i poli estremi di un’Italia ancora ben distinta in scuole pittoriche regionali ma che si stava nel contempo affacciando a un panorama sdi controversa modernità.
I praticomunitari fanno parte di una storia anti-monumentale della città europea; lontani dall’estetica urbana codificata, hanno accompagnato discretamente il consolidamento e la formazione dei centri urbani moderni. Presenti nell’intera Europa, sono stati ambiti per il divertimento, luoghi di mercato e scambio, verdi spianate per il passeggio, sorta di “parenti poveri” e insieme precursori della grande tradizione dei parchi urbani. È in questi lacerti incolti che si è sperimentata per la prima volta l’associazione fra campagna e città, fra tessuto abitato denso e spazi vuoti verdeggianti; sono questi luoghi che hanno preparato il mutato atteggiamento culturale con cui oggi guardiamo ai processi naturali di occupazione vegetale di aree abbandonate, oltre che alle molte forme d’uso temporaneo che vi trovano spazio. I prati e la loro storia sono parte dell’attitudine con cui valutiamo il paesaggio urbano contemporaneo.
Diciotto autori affrontano la tematica dei vasti vuoti urbani sedimentati nella storia della città e del loro valore, nel contesto di una ricerca aggiornata di nuove accezioni di spazio comune nella dimensione civica odierna.
A un’accurata disanima delle fonti che ne hanno documentato i passaggi di proprietà, i conseguenti interventi di trasformazione degli spazi e le cifre stilistiche dei cicli decorativi pittorici e a bassorilievo, segue una trattazione del più recente restauro voluto dalla Banca, proprietaria del Palazzo Brentani Greppi, che ha inteso rappresentare l’idea di continuità del dialogo con il plesso architettonico in cui il palazzo è inserito con le esigenze funzionali dell’edificio rispetto alle necessità, anche estetiche e culturali, della comunità.
Claudio Rebeschini analizza accuratamente i canoni architettonici ed estetici del Palazzo, evidenziando una sintesi tra le diverse sollecitazioni storiche e urbanistiche della città di Padova. Con una collocazione strategica rispetto al contesto urbano, la nuova sede della Cassa di Risparmio di Padova progettata da Donghi ha il compito di richiamare a concetti di serietà e concretezza manifestando, al contempo, capacità di dialogo nel confronto con le memorie antiche – dell’Antica Roma e di Giotto – che insistono esteticamente nell’area adiacente.
Marco Biraghi descrive infine il progetto di espansione dell’edificio affidato a Gio Ponti, che, pur mantenendo un’autonomia compositiva rispetto alla sede preesistente, confermerà in maniera innovativa l’ingegnosità nel mettere in relazione gli elementi spaziali interni con l’ambiente esterno.
Il volume è il catalogo della mostra (Museo della Moda e delle Arti Applicate, Gorizia, 21 novembre 2018 – 17 marzo 2019) che affronta il tema dei rapporti tra Giappone e Occidente da una prospettiva del tutto nuova e insolita, cioè mostrando quanto forte fosse l’attrazione in Giappone per l’Occidente. Lo fa esponendo alcuni pezzi di una collezione di KimonoMeisen dei primi decenni del Novecento. Capi preziosi, dal design assolutamente inedito, che fondono in una originale sintesi l’abito della tradizione e le suggestioni provenienti dalle innovazioni formali delle avanguardie europee, in primis Futurismo, Secessione e Cubismo. Sui tessuti appaiono anche riferimenti agli sport occidentali, bastimenti ed aerei.
Questo volume fotografico rende omaggio al Garda Trentino, un angolo unico di territorio che nel raggio di quindici chilometri raccoglie borghi pittoreschi capaci di attrarre i visitatori col fascino della storia, dell’arte, della vita a misura d’uomo. Riva del Garda, Arco, Torbole, Nago, Tenno, Dro, Drena punteggiano un ambiente naturale fatto di paesaggi mozzafiato: dal blu delle acque del lago alle falesie a picco fino alle montagne che fanno da corona, dalle Dolomiti di Brenta a Nord al Monte Baldo a Sud.