In occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova ha realizzato una mostra d’arte contemporanea intitolata a riveder le stelle, presso le sale del Museo Eremitani, in collaborazione con la collezione “The Bank Contemporary Art Collection”. L’esposizione temporanea è composta da una selezione di opere di pittori viventi – tutti italiani tranne per una cameo internazionale – e crea un dialogo evocativo tra la Divina Commedia di Dante Alighieri e il ciclo pittorico realizzato da Giotto nella vicina Cappella degli Scrovegni, suo capolavoro assoluto e affresco Patrimonio Mondiale UNESCO.
Il punto di raccordo tra i due autori medievali, coevi pilastri della cultura italiana che rivoluzionarono prosa e pittura, sono le stelle. La collezione fa opera di mappatura del linguaggio visivo contemporaneo, coinvolgendo artisti affermati che si muovono nel solco della figurazione italiana e trovano nell’adesione alla realtà di Giotto il loro primo riferimento.
La curatrice Barbara Codogno, alla quale è affidato anche il catalogo dedicato, spiega che «la prospettiva curatoriale non vuole essere didascalica, agiografica o passatista, piuttosto evocativa e suggestiva, rimanendo però fedele al percorso di luce tracciato sia da Dante che da Giotto e traghettando perciò lo spettatore verso il sollievo della rinascita indicata dalle stelle.»
Dopo il rovinoso incendio del 1868, il Teatro di Treviso riapre i battenti l’anno successivo in un edificio completamente ricostruito. Prende il via ufficialmente la storia moderna di un luogo che ha radici antiche: nato nel 1692 come teatro privato dei Conti Onigo accompagno lo sviluppo della città fino ai giorni nostri. Il volume grazie al lavoro di Iorio Zennaro ricostruisce minuziosamente spettacolo dopo spettacolo, cartellone dopo cartellone, centocinquant’anni (e oltre) di storia.
A corredo, lo studio di Carolina Pupo dà conto del dibattito architettonico intorno alla ricostruzione, il lavoro di Giuliano Simionato restituisce l’attività di Carlo Fontebasso e Giulio Tirindelli e i saggi di Gilberto Mion fanno rivivere aspetti di attualità teatrale, dalla nascita dell’orchestra e del coro lirico alla bottega di Peter Maag fino al 1974, anno dell’integrale pucciniana.
Il contributo di Elena Filini e Edoardo Bottacin è infine il racconto di un’epoca, tra protagonisti, prime e cronache giornalistiche.
La più semplice delle domande: «Caffè?». È l’invito a mettersi comodi per farsi trasportare dalle diverse anime di un estratto noto ovunque ma sempre diverso. È l’invito a sfogliare questo libro multisensoriale come fosse un museo in cui riscoprire tra le righe il gusto dello stile italiano.
Aroma, suono, vista, tatto, gusto e senso sono i capitoli del volume Senso Espresso, che invita il lettore a scoprire il tessuto imprenditoriale e culturale italiano, con la sua creatività e con il suo stile riconoscibile in tutto il mondo. Senso Espresso correla l’intero settore delle macchine per caffè espresso professionali con tutti i suoi protagonisti, calando la produzione di distretto in un contesto più generale legato al mondo del design, della tecnologia, dell’innovazione e della cultura d’impresa italiana.
I documenti, le fonti storiche e l’accurato apparato iconografico sono stati tratti in larga parte dall’archivio e dalla biblioteca di MUMAC, Museo della Macchina per Caffè di Gruppo Cimbali, ma il contributo di altri enti, fondazioni, archivi e musei di impresa ne fa un’opera corale rivolta a tutti. Le macchine per caffè diventano ambasciatrici nel mondo dell’“Italian Way of life” come stile di vita, dove il piacere, la bellezza, la creatività, l’ingegno e le relazioni sono espresse in un ottimo caffè!
“La rivelazione di un artista immersivo, un maestro della variazione che riesce ogni volta a espandere il canone senza spostarsi di un millimetro. Un artista abituato a sposare funambolicamente il rigore con l’imprevedibilità, la logica con l’immaginazione, il gelo con il fuoco”. Coming Out è una monografia che documenta il percorso di ricerca di Daniele Cima dal 1990 al 2020. Si tratta della prima pubblicazione organica sul suo lavoro artistico, con la documentazione di tutte le serie di lavori organizzate intorno a format e variazioni. Il titolo fa riferimento alla timidezza di Cima stesso nel presentarsi sotto il cappello di artista, dopo una vita precedente come Art Director nelle più importanti agenzie pubblicitarie italiane. Il volume si apre con l’ultimo progetto in ordine di tempo – Ritratti Fiscali, esposto alla Triennale di Milano nel giugno 2021 – e si chiude con il primo lavoro Ricordi Fiscali del 1990.
L’edizione è curata da Eugenio Alberti Schatz e contiene una lunga intervista all’artista firmata da Pasquale Barbella. All’interno dei capitoli sono riportati testi di storici dell’arte, critici d’arte e amici.
Il volume approfondisce un aspetto della produzione grafica di Josef Maria Auchentaller (Vienna 1865 – Grado 1949) all’interno del movimento della Secessione viennese, in particolare in relazione alla prestigiosa rivista che ne fu portavoce, Ver Sacrum (1898-1903), di cui l’artista è stato uno dei collaboratori più significativi. Nell’ambito della feconda stagione guidata dal carismatico Gustav Klimt, Auchentaller seppe proporre attraverso le pagine del periodico la sua visione di un’arte nuova, segnalandosi come uno dei protagonisti dello Jugendstil che nella Vienna asburgica rivoluzionò al torno del ventesimo secolo la pittura, la grafica e le arti applicate.
Il volume raccoglie per la prima volta un originale corpus di piccole opere di notevole fascino artistico e interesse documentario, influenzate dalla grafica giapponese e caratterizzate dalla bidimensionalità tipica della Flächenkunst. L’equilibrata suddivisione tra superfici bianche e nere rende la valenza decorativa di queste grafiche che, fondendosi con i testi in una studiata composizione tipografica, confluivano a formare l’insieme della pagina. Il volume restituisce l’operato di un artista a tutto tondo, tipico esponente della fin de siècle viennese.
«Sergio Padovani è un pittore che costringe al silenzio e alla sosta. In questo tempo di immagini veloci e semplificate le sue opere, invece, si mostrano con lentezza, scavando in profondità, agganciando e sospendendo il tempo. L’autore ha una marcata cifra stilistica: ogni dipinto racconta una storia che si spalanca in un’altra storia e ne apre un’altra ancora. Queste molteplicità di piani storici e sequenze prospettiche concorrono al compiersi dell’apparizione e al conseguente – e inevitabile – rapimento mistico». Così Barbara Codogno introduce al volume dedicato alla mostra “I folli abitano il sacro” di Sergio Padovani (Modena, 1972), a cura di Pierluigi Panza e con sede alla Fondazione Stelline di Milano, in collaborazione con The Bank Contemporary Art Collection.
Sergio Padovani è una voce autoriale del mondo artistico italiano, che si contraddistingue per la sua visione mistica. Pierluigi Panza: «La sua opera è un sipario della contemporaneità lacerata, liquida, insicura, clonata transgenica, fatta di frammenti sui quali costruiamo le nostre nuove rovine. Il sacro è una scacchiera abitata dai folli che si muovono per sollecitare, sconvolgere la nostra coscienza in questa età dell’incoscienza».
Il testo di Ippolito Pizzetti (1926-2007), pubblicato dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche per la prima volta anche in inglese nell’ambito della collana editoriale “Memorie”, serie “Minima”, è stato scritto a Roma tra il dicembre 1981 e il 21 marzo 1982, come Introduzione al suo volume Pollice verde.
Questa, che è molto più che un’introduzione, era già stata resa disponibile dalla Fondazione nel 2011, a cura di Domenico Luciani: «Ippolito Pizzetti è stato per tutti noi, dal 1988, un riferimento imprescindibile per acutezza critica, per ampiezza di interessi, per stile di vita. In tanti viaggi entusiasmanti e faticosi, in tante discussioni intense e fertili, in tante comuni battaglie, ci ha insegnato il gusto per il confronto di idee e di proposte. Ha donato alla Fondazione Benetton Studi Ricerche la sua biblioteca, con un gesto di generosità radicale e di raro disinteresse. I suoi pareri puntuali e i suoi consigli molto concreti, lontani da ogni intellettualismo, sono stati per noi preziosi in ogni situazione nella quale la Fondazione fosse alle prese con elaborazioni sul governo e sul disegno del paesaggio e del giardino. […]».
«Se smetto di amarti è il Caos, dice Otello: ed è così. Se faccio (non creo) un parco, un giardino, non è il lavoro di scelta che compio o di organizzazione da cui mi aspetto la gioia, il mio gesto è solo propiziatorio ma dalla vita che d’un tratto si esprime dentro il corso della stagione nelle piante, dal loro prosperare e crescere, che è al di fuori di me, che è cosa degli dei, di cui io sono soltanto spettatore e testimone. Al massimo il catalizzatore. Se io scrivo, qualunque cosa scriva, quale che sia il risultato, le mie parole, passato l’entusiasmo e la foga del momento creativo, mi appaiono come scritte sull’acqua, e perché torni a sentirmi vivo, e loro con me, esigono, debbono generare, altri pensieri, altre parole, altri sentimenti: fermarmi è come se il mio cuore smettesse di battere o la luce del giorno non vincesse più la notte», Ippolito Pizzetti.
Preservare e divulgare l’eredità storica di una terra per trasmettere alle nuove generazioni il senso di appartenenza a una comunità e trarre insegnamento da chi ci ha preceduto.
“La storia di Valdobbiadene è intimamente connessa – spiega l’autrice Adriana Rasera – a quella dei suoi figli. Ho voluto raccontare di uomini e donne che sono nati, o che si sono fermati, in questa terra e che hanno saputo distinguersi per ingegno”. Un distillato di vite che l’autrice, giornalista e docente di comunicazione, ha cercato di sondare, ricostruendone le biografie, condensando le informazioni e utilizzando un linguaggio quasi cronachistico, in modo da consegnare al lettore un quadro il più esauriente possibile, con pagine corredate da foto storiche, per lo più inedite, e da foto artistiche, realizzate dai fotografi dell’associazione IMAGO.
L’autrice ha voluto mettere in evidenza i tratti umani dei personaggi, attraverso una complessa e impegnativa ricerca delle fonti, a volte mancanti altre volte contraddittorie. Questo libro vuole essere un omaggio a tutta la comunità valdobbiadenese, al suo passato e a chi lo ha onorato.
Prendendo ispirazione dalla letteratura antica, dal De Rerum Natura di Lucrezio e dalle Metamorfosi di Ovidio, fino alla contemporanea di Italo Calvino in Lezioni Americane, il concetto di “leggerezza” è al centro delle pagine del volume fotografico di Carlo Guttadauro. Il soggetto? Il Prosecco: «Le immagini scelte si muovono come le bollicine; rendono leggeri i palazzi, i castelli, le sculture, i ponti, gli affreschi e le tavole che pur ritraggono il reale con grande maestria. Trasformandolo e facendolo vedere sotto un’altra luce» (dall’introduzione di Massimo Donà).
Gioco, sperimentazione e leggerezza sono il fil rouge che conduce all’interpretazione degli scatti fotografici di Guttadauro, il quale afferma che nel viaggio tra il Veneto e il Friuli – e nella libertà che il Processo DOC gli ha accordato – ha trovato materia interessante da cogliere e scoprire nella sua luce, nelle sue ombre e nei suoi colori, ma con spirito libero e leggero, come le bollicine.
«Ora, il mio più grande desiderio? Che nelle fotografie si legga in filigrana – come direbbe Malraux, parlando della “struttura Vermeer” – non una tela caduta nelle mani del pittore, ma il sistema di equivalenze che fa sì che tutti i momenti del quadro, come centro aghi su cento quadranti, indichino la stessa insostituibile deviazione. Lì, in quella piega si fonderà ciò che resta».
La magia del vetro ha affascinato le popolazioni di tutte le epoche. Questo straordinario materiale ha una lunga storia, che si intreccia con l’evoluzione della civiltà umana, le scoperte tecnologiche, le relazioni tra i popoli e le loro culture, determinando importanti aspetti del costume, della moda, dell’economia e della società in ogni tempo. Questo volume si propone di tracciare l’inedita storia dei gioielli in vetro focalizzando l’attenzione sui secoli XIX e XX, periodi in cui si sono formati artisti, di riferimento in particolare dell’Art Nouveau, e sviluppati importanti laboratori che hanno realizzato gioielli ancora oggi amati e collezionati da estimatori di tutto il mondo.
Grazie a testi scientificamente approfonditi e a un’esposizione chiara e scorrevole, il volume è rivolto agli addetti ai lavori, così come al grande pubblico di appassionati di arte, gioielli, moda e design. L’ampio corredo fotografico inedito e ricco di dettagli offre una sorprendente ed esaustiva panoramica sui gioielli in vetro oggetto del desiderio di molti collezionisti, designer, mercanti d’arte e non solo. Il volume contiene apparati con glossario tecnico, schede biografiche dei produttori, degli artisti e documentazione di approfondimento.
Con la prefazione di Chiara Squarcina, l’introduzione di Ermanno Arslan e con schede di approfondimento di Alessandro Asta, Paolo Bellintani, Silvia Ciappi, Mariagrazia Celuzza, Francesca Colmayer, Roberta Cruciata, Ana Estrades, Anna Maria Fedeli, Serena Franzon, Annalisa Giovannini, Katherine A. Larson, Chiara Maggioni, Alessandro Marzo Magno, Luciana Mandruzzato, Maura Picciau, Alexandra M. Ruggiero, Federica Sala, Giovanni Sarpellon, Maria Teresa Sega, Giorgio Teruzzi, Marina Uboldi