Though it is true that soil – a complex ecosystem that is crucial to our survival and an invaluable repository of biodiversity – is nowadays the focus of abundant theoretical and practical attention and of much in-the-field experimentation, it is also true that all too often one hears of soil considered as a surface that can be freely put to any use, an inert and colourless canvas that becomes interesting only when something is placed upon it or hidden beneath it.
Returning to the issues discussed during the Soil as a Landscape programme devised for the 2020 International Landscape Study Days, the fifteen authors of this volume once again bring their experience and their diverse disciplinary and cultural backgrounds to bear on the shared belief that soil actually has a value in and of itself, that it is not only a primary and irreplaceable element in the definition of the characteristics and quality of our environment and our landscapes, but that it is, itself, a landscape.
Soil is the connective tissue, sustenance and vital process that accompanies our experience of life, it is the physical, social and aesthetic dimension that gives substance to the places we inhabit and our sense of belonging to the landscape and to the Earth.
The volume Soil as a Landscape. Nature, crossing and immersions, new topographies, edited by Luigi Latini and Simonetta Zanon, contains contributions by: Hervé Brunon, Andrea Caretto and Raffaella Spagna, Fabrizio Cembalo Sambiase and Antonio di Gennaro, Giacomo Certini, Laura Fregolent, Christophe Girot, Anna Lambertini, Tilman Latz, Rosario Pavia, Antonio Perazzi, Paolo Pileri, Laura Zampieri, Simonetta Zanon.
Un libro fotografico, catalogo anche dell’omonima mostra in corso presso gli spazi Bomben della Fondazione Benetton Studi Ricerche, in cui si racconta, con la forza pacifica e creativa della luce, il tramonto, definitivo (?) di una cultura figlia di una civiltà che, data per morta, mostra tuttavia nei lacerti collinari un’inesausta vitalità ai limiti della resistenza.
Un percorso fotografico attraverso la bellezza e la cultura delle colline del Prosecco, oggi Patrimonio dell’umanità, che racconta con testi e immagini la storia e l’impegno odierno per dare forma al presente e per definire un futuro possibile a questi luoghi, per diventarne custodi gelosi e per saperlo raccontare e presentare al turista sempre più numeroso e curioso di vera identità territoriale.
I fabbricati rurali immersi nelle colline ricordano lo stretto legame tra il viticoltore e le sue rive; il paesaggio che il viticoltore ha creato modellando con rispetto ciò che la natura gli ha messo a disposizione; i ricordi di chi ha dato un senso anche economico al lavoro nel vigneto, sono tra i fondamenti che dobbiamo custodire e che dobbiamo tramandare. Tutto questo porta lontano da una pericolosa omologazione e al contrario caratterizza e rende unico quel territorio.
Sandro Dal Bello aveva una sola ambizione nella vita: lavorare per realizzare un prodotto che portasse il suo nome e farlo diventare tra i più importanti marchi mondiali dello scarpone da sci. Nonostante le avversità, la concorrenza, le crisi quest’uomo è riuscito a realizzare con il sapere delle sue mani e una straordinaria tenacia l’azienda Dal Bello. E dopo alcuni anni questa è diventata uno dei primi cinque brand del settore. Nato ad Asolo da una umile famiglia, Dal Bello inizia a lavorare poco più che bambino nei primi laboratori calzaturieri della zona di Montebelluna, nel cuore del Veneto, poi decide di sfidare il proprio destino e a 17 anni emigra in Svizzera, dove apprende le caratteristiche del lavoro e di un’organizzazione industriale. Al rientro in Italia ha aperto una sua azienda, inizialmente dedicata alla produzione per conto terzi. Superando notevoli difficoltà e incrociando la chiusura di ben due imprese per le quali lavora, stabilisce infine di realizzare in proprio le calzature invernali che portano il suo nome. Studiando le caratteristiche del target, il posizionamento dei concorrenti e puntando sempre sull’innovazione del prodotto, riesce a collocare i propri scarponi sul mercato. L’azienda cresce in Italia e negli Stati Uniti, grazie a preziosi collaboratori e a una tenacia fuori dal comune.
Il libro di Daniele Ferrazza descrive le dinamiche, le collaborazioni, le difficoltà incontrate durante questa storia industriale, tra le più interessanti di tutto il distretto industriale dell’articolo da sci, di cui Montebelluna è ancora capitale. Soprattutto, ricostruisce la tenacia e la forza di volontà di un imprenditore che voleva assolutamente raggiungere il suo obiettivo, con determinazione e senza mai arrendersi alle difficoltà. Proprio la capacità di rialzarsi, dopo una sconfitta, è la cifra di questo racconto, di un uomo che ha sempre inseguito il proprio sogno. Perché dopo un temporale torna sempre il sole.
Daniele Ferrazza: Nato ad Asolo nel 1968, giornalista professionista, è capocronista al quotidiano la Nuova Venezia. Ha collaborato con Affari & Finanza di Repubblica e il Venerdì. È stato assessore alla cultura e sindaco di Asolo. Ha scritto Statale Undici, le strade che hanno fatto il Nordest (Marsilio, 2014), Pesci rossi in acqua santa (Antiga Edizioni, 2020), Diversi da prima, con Valentina Calzavara (Helvetia Editrice, 2020). Nel 2013 ha vinto la targa del Presidente della Repubblica al “Premio cronista dell’anno”.
La serie di notebook “dot.play” nasce dalla collaborazione tra XO Letterpress, piccola stamperia al femminile con sede a Vicenza, e Tipoteca: le prime si sono occupate del design, i secondi della stampa letterpress e della rilegatura. I punti che vanno a formare il layout sono stati fusi utilizzando la Monotype, macchina compositrice e fonditrice inventata alla fine del 1800.
I notebook si presentano in tre diverse combinazioni di colore e i punti in altrettante inclinazioni, che vanno a formare pattern curiosi, con un sorprendente risultato cinetico. Inoltre all’interno del notebook è stato inserito un quartino, anch’esso colorato, diverso per ogni variante.
XO Letterpress è l’espressione creativa nel mondo analogico di due amiche, che condividono la comune passione per il design, la stampa e le cose fatte a regola d’arte: Sabine Lercher e Graciela Muñoz.
Sabine è graphic designer, cofondatrice dello studio di comunicazione no parking a Vicenza. Graciela, architetto, è traduttrice e una consulente di marketing. Vivono e lavorano a Vicenza.
“Futura Schmuck” sono gli elementi ornamentali del carattere Futura, disegnato nel 1927 da Paul Renner per la Fonderia Bauer di Francoforte.
Sono dei caratteri decorativi che si presentano in diverse forme: cerchi, quadrati, rettangoli e triangoli.
Il design del notebook Futura utilizza questi elementi geometrici ed è a cura di Cabaret Typographie. La copertina è stampata in letterpress a tre colori (nero, rosso, oro); all’interno del notebook è stato inserito un quartino di carta nera e il tutto è stato poi rilegato a mano.
Cabaret Typographie è un collettivo di design composto dai grafici Laura Dal Maso, Mauro De Toffol e Tommaso Pucci, che operano tra Milano, Perugia e Venezia. È un’officina artigianale che ricerca la sperimentazione tipografica, a partire dalla passione condivisa per la grafica e per i caratteri analogici.
Per il design della nuova serie di shopper, Tipoteca si è affidata a Bill Moran, grafico, tipografo e professore universitario, volto storico dell’Hamilton Wood Type Museum di Two Rivers (Wisconsin), già coinvolto per la realizzazione del calendario Tipoteca 2021 e in altre numerose occasioni.
Ne è uscito un “gioco” tipografico, un volto composto di soli glifi e numeri, a rappresentazione della versatilità e giocosità che questi segni possono avere.Disponibile anche nella variante con tela gialla.
È la storia di uno stallone nero che ha vissuto tre vite: sport, spettacolo ma anche inclusività e rapporto con la natura. Presentato durante l’ultima edizione di Fiera Cavalli, questo volume racconta la storia di una amicizia profonda, quella tra Alisè e Tiger, un trotter dimenticato in un box nell’ippodromo abbandonato di Firenze scampato alla morte, recuperato da un imprenditore e donato ad una bambina. Un incontro magico che ha salvato questo cavallo da un destino buio e senza futuro.
“Entrare in pista. Il silenzio, interrotto dal simmetrico “due tempi” dei tuoi zoccoli. Siamo io e te. Stupisce pensare che tu possa fidarti. Di me. Io conosco il mio titubare, le mie angosce, i miei dubbi di ogni giorno. Quindi che devo allontanarmene, per donarti le mie sicurezze. Tu mi chiedi queste. Solo queste. Le mie mani, la tua bocca. Dimenticare il lavoro, le paure, le incertezze di ogni mia giornata. Mi fido di te, mio cavallo, perché tu possa fidarti. Di me. Questa storia colpirà. Ha una caratteristica che di solito coglie nel segno. È vera. Mi riesce difficile il protagonista: forse un cavallo, forse un uomo a dir inconsueto, forse una ragazzina straordinaria…”.
Paolo Borin nato a Casale sul Sile è un compositore e cantante che si è sempre dedicato alla musica, suo padre gli ha trasmesso l’amore per i cavalli da trotto, diventandone guidatore e anche allenatore, dalla madre invece il piacere della lettura e l’amore per la scrittura.
Se è vero che l’attenzione per il suolo, ecosistema complesso indispensabile per la nostra sopravvivenza e prezioso scrigno di biodiversità, oggi è molto alta, sia nelle teorie sia nelle pratiche e nelle sperimentazioni sul campo, è anche vero che troppo spesso si sente ancora parlare del suolo come di una superficie disponibile a qualunque uso, una tela inerte dai colori sbiaditi che diventa interessante solo quando ci si appoggia qualcosa sopra oppure, al contrario, vi si nasconde qualcosa sotto.
Riprendendo i temi in discussione nel corso delle omonime Giornate internazionali di studio sul paesaggio 2020 della Fondazione Benetton, i quindici autori del volume Suolo come paesaggio ribadiscono, attraverso le loro esperienze e i loro orientamenti disciplinari e culturali diversi, la tesi comune che il suolo abbia invece valore di per sé, che non sia solo un bene primario insostituibile nella definizione delle caratteristiche e della qualità del nostro ambiente e dei nostri paesaggi, ma sia esso stesso paesaggio. Il suolo è tessuto connettivo, nutrimento e processo vitale che accompagna la nostra esperienza di vita, è dimensione fisica, sociale ed estetica nella quale risiede la sostanza dei luoghi abitati e il senso della nostra appartenenza al paesaggio e alla Terra.
Il volume collettivo della Fondazione Benetton Studi Ricerche raccoglie contributi dei seguenti autori: Hervé Brunon, Andrea Caretto e Raffaella Spagna, Fabrizio Cembalo Sambiase e Antonio di Gennaro, Giacomo Certini, Laura Fregolent, Christophe Girot, Anna Lambertini, Tilman Latz, Rosario Pavia, Antonio Perazzi, Paolo Pileri, Laura Zampieri, Simonetta Zanon.
Trento è una vera città d’arte, una delle più ricche di attrattive storiche e culturali tra quelle dell’Italia del Nord, sia pur a prescindere da alcuni centri maggiori. In città le case dipinte sono sempre state un elemento caratteristico del volto urbano: l’uso di dipingere le facciate si ispirò a quanto si faceva nell’area veneta specie nei secoli XV e XVI, soprattutto a Venezia, Verona, Treviso, Feltre e altri centri minori. Questi decori murali sono oggi in stato di conservazione insoddisfacente, se non precario. I restauri del secolo scorso hanno bisogno di essere rinnovati; opere di manutenzione sono urgenti e indifferibili. Testimonianze imperdibili della storia e dell’arte della città, richiedono nuove cure.
Questo volume, a cura di Ezio Chini, Salvatore Ferrari e Beppo Toffolon, e promosso dalla Sezione trentina di Italia Nostra fin dal 2017, contiene per la prima volta, in modo fortemente innovativo, nuove indagini storiche e archivistiche sui principali palazzi di Trento e un completo censimento delle decorazioni realizzate fra l’età medioevale e quella contemporanea, al fine della loro conoscenza, tutela e valorizzazione. Un ampio, fascinoso apparato fotografico accompagna i testi affidati a trentaquattro esperti e specialisti.
Questo volume è frutto di un lungo percorso di ricerca e studio del Dottor Ernesto Riva all’intero mondo delle piante medicinali delle Dolomiti. L’idea di raccoglierle e conservarle allo stato secco gli è nata verso la fine degli anni ’70 quando, dopo qualche anno di conduzione della farmacia ereditata dal padre, decise di mettere a frutto le sue conoscenze erboristiche acquisite in ambiente famigliare e universitario. Avendo la fortuna di esercitare la professione in un territorio straordinariamente ricco di piante medicinali allo stato spontaneo, decise di approfondirne la conoscenza proprio sul campo, per riconoscerle con le cosiddette “chiavi analitiche”, di fotografarle per avere una loro documentazione completa e infine di raccoglierle per poi essiccarle. Questo primo approccio con il mondo delle piante medicinali è stato in verità una sorta di gara con la natura: la natura, infatti, corre più di quanto ce lo immaginiamo, specie quando sei costretto a inseguire le sue piante in fiore. Il suo eccezionale lavoro ha permesso di documentare circa 200 esemplari di piante medicinali del territorio dolomitico e di archiviarle in 5.000 fotografie in diapositiva, consultando buona parte della letteratura esistente sull’uso farmacologico delle piante raccolte, narrate anche dagli antichi erbari.
Ernesto Riva (San Pietro di Cadore 1947), presidente di Unifarco, è laureato in Farmacia presso l’Università degli Studi di Padova, con una specializzazione in Botanica farmaceutica presso l’Università degli Studi di Siena. Membro dell’Accademia Internazionale e della Società Internazionale di Storia della Farmacia, giornalista pubblicista, vive e lavora a Belluno.