Storie di migrazione

24.09.2015

Una casa per l’uomo – Società Cooperativa Sociale, Storie di vita migrante, Crocetta del Montello (TV), Terra Ferma, 2015, 136 pp.

Il Veneto da terra di emigrazione a terra di immigrazione. Il Veneto terra operosa di gente accogliente, che lavora e si prodiga a costruire fondamenta solide per sostenere “Una casa per l’uomo”, la Cooperativa Edilizia che dal 1992 opera nel montebellunese per “incidere nel contesto culturale e politico del territorio in merito alle problematiche riguardanti gli immigrati stranieri e in particolare per dare risposta alla loro domanda abitativa”. Il suo logo è una volpe nella tana, esplicito richiamo al passo del Vangelo di Luca: “le volpi hanno le loro tane… ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

Una esperienza umana che progredisce e si rigenera. Dopo pochi anni dalla sua fondazione la cooperativa edilizia diviene Società Cooperativa Sociale e “nel decennio 1998-2008 sviluppa i settori di attività oggi consolidati: servizi di mediazione linguistico-culturale in ambito scolastico, socio-sanitario, nel territorio e presso istituti penitenziari. Servizi strutturati di segretariato sociale con l’apertura di numerosi sportelli informativi, luogo privilegiato di relazione e ‘antenna’ per il territorio”.

Storie di vita migrante è il giusto modo per “festeggiare” il superamento del ventennio di attività sociale sul territorio veneto. “Abbiamo voluto in questo modo raccontare i nostri vent’anni di lavoro e puntare il faro su dieci persone, dieci vite, rappresentative a nostro avviso, di vent’anni di immigrazione nel trevigiano. Molte di queste sono storie piccole, altre particolari ed appassionanti, alcune sono rappresentative del nostro territorio, altre potrebbero essere successe ovunque”, così Giorgio Gallina, presidente della cooperativa (p. 9).

Narrare la vita quotidiana, esplicitare situazioni dolorose e gioiose vissute nei propri contesti sociali o in quelli di approdo, diventa lo strumento col quale comunicare al mondo circostante che si è totalmente immersi in una realtà “politica”, si hanno le mani in pasta, si contribuisce al progresso, al dialogo ed al miglioramento degli stili di vita propri ed altrui.

Una raccolta di dieci narrazioni in cui “gli intervistati raccontano storie di vita, di speranza e d’integrazione, storie di chi ha potuto fornire un valido contributo umano e lavorativo nel luogo di migrazione, il Veneto” (Maurizio Donazzon, p. 11). Dieci storie raccontate attraverso la tipologia dell’intervista, una serie di racconti che riempiono l’anima e fanno riflettere sulla capacità resiliente dei narratori.

Non è mai facile raccontare di sé, soprattutto quando la propria esistenza è toccata all’evento “traumatico” della migrazione; traumatico perché non desiderato, non voluto, non segnato ma obbligato. Leggendo le dieci “Storie di vita migrante” si può comprendere come la diversità di opinione, di cultura, di lingua e religione, sia una ricchezza cui tutti dovrebbero attingere. Il processo di integrazione è lungo e spesso doloroso, ma porta frutti buoni da con-dividere.

L’agile, ma intenso, libro stampato per i tipi della casa editrice “Terra Ferma” può essere letto semplicemente scorrendo le risposte alle domande poste ai protagonisti; oppure leggere l’intervista fissando uno solo degli interrogativi… e trovare, da soli, il filo rosso che lega le vite, le idee ed i progetti di tutti e dieci gli intervistati.

Possiamo provare ad effettuare questo percorso con alcuni dei protagonisti; lasciando poi ai lettori il compito di proseguire, criticamente, la lettura dell’opera. Offriamo un suggerimento: partire dalla domanda “sul futuro”… (andando poi al ritroso) anche perché il presente ci sembra già sufficientemente vissuto! Sognare e progettare il futuro nella propria terra è il traguardo da raggiungere per Issiya Longo, scrittore congolese: “A breve termine, voglio scrivere un libro per raccontare il mio progetto definitivo, che spero si realizzi presto, quello del mio ritorno in Africa per sviluppare l’agricoltura. Ho creato l’Undugu-Onlus per lo sviluppo  del mondo rurale. So che è un obiettivo pazzesco, difficilmente raggiungibile, però vivo con questo sogno. Vorrei che le persone appoggiassero questo progetto che ho da tantissimo tempo, che mi dessero una mano per farlo partire. (…) Le persone spesso parlano dell’Africa facendosi un sacco di idee sbagliate, ma non è facile mettersi a fare qualcosa, soprattutto quando di parla del mondo rurale” (p. 41).

I sogni vanno sognati… sino in fondo, solo così potranno realizzarsi ed essere vissuti appieno. Immaginare un futuro migliore, dopo la crisi economica che ha colpito nel 2001 l’Argentina, è stato l’obiettivo di Hector Mario Bonetti e Maria Angela Casarin (marito e moglie), figli di emigrati italiani in America Latina, che sono riusciti a ricostriure una “nuova” vita in Italia (emigrando in Italia a cinquant’anni), per se stessi e per i propri figli. “Hector: Parlare del futuro è più difficile che parlare di quello che abbiamo passato – Maria: Allora… diverse volte abbiamo pianificato il futuro, ma abbiamo dovuto sempre cambiare marcia. Qualche progetto lo abbiamo, ma bisogna vedere come va avanti la situazione. La nostra idea sarebbe tornare in Argentina all’età pensionabile (…) non di tornare definitivamente in Argentina, ma di fare un periodo lì e uno qui con i figli. Lì abbiamo tutto. Abbiamo la casa (…). Hector: I nostri figli sono inseriti qua e loro… – Maria: … e loro non credo si muoveranno dall’Italia. Da qua o da dove si trovano” (p. 67). Si emigra “attratti” dalla speranza di “fare altrove fortuna” (scriveva A. Manzoni), si emigra per cercare un posto di lavoro redditizio ed assicurare un futuro migliore ai propri figli. Si emigra… per scappare dalla guerra! È la storia di Ali Said, vent’anni, studente universitario somalo, con una numerosa famiglia alle spalle; salvarsi e sognare un futuro migliore: “Se sarò in Europa non credo la mia famiglia resterà in Somalia e vorrei che la mia famiglia potesse stare con me. Lì la vita è dura e la guerra… la guerra ti colpisce sempre, chiunque tu sia. (Ali non si è fermato in Italia, ora è in Germania ospite di un centro di accoglienza, dove è in corso la procedura di regolarizzazione grazie alla quale si potrà poi lavorare)” (p. 97).

Esperienze di uomini e donne che partono dalla propria terra d’origine per cercare una “nuova” terra accogliente. Nella valigia poche cose, quelle essenzioali per la vita di ogni giorno. Spesso, però, tra i pochi oggetti da portare c’è sempre un piccolo spazio per uno appartenente alla propria religione. Per esempio “una bustina rossa” (ricevuta al santuario buddista, con dentro un po’ di cera di candele ed una preghiera) come quella che accompagna la vita di Caihong Qui, una giovane donna cinese che vive in Italia col marito ed il figlio maggiore. Un oggetto semplice, come semplice e spontaneo è il progetto per il futuro: “per i prossimi anni sicuramente resterò in Italia. Treviso è una città molto bella. L’aria è pulita. Spero di lavorare bene nel negozio di Montebelluna che ho aperto 4 mesi fa. L’Italia mi piace, mi piace la moda e la cucina. Quando torno in Cina mi trovo male perché non sono più abituata alla vita lì. Però più avanti, non lo so, forse tra 20 o 30 anni tornerò. Non lo so ancora” (p. 103).

Il mosaico di “Storie di vita migrante” è composto da dieci singoli racconti: belli, appassionanti ed apparentemente differenti e lontani. Un aggettivo, però, accomuna tutte le “storie” e tutte le rende uguali: “migrante”. Ci indica come, per ogni protagonista e per la sua storia, non sia stata scritta già la fine o il lieto fine esperienziale… e ci continua a mostrare l’orizzonte di quel moto interiore, così profondo e così infinitamente grande, che non si ferma perché “migrante”.