La scala segreta di Guttuso architetto
Il Gruppo Intesa Sanpaolo promuove una collana, curata dalla struttura Attività editoriali e musicali ed edita da Terra Ferma, di approfondimento degli edifici di interesse storico architettonico oggi sedi della Banca. A Palermo è stata appena dedicata l’edizione "Il Palazzo di via Stabile", di Paola Barbera e Fulvio Irace, di cui riportiamo un estratto.
Se non lo avete mai fatto, provate a varcare l’ingresso della sede di Intesa Sanpaolo in via Mariano Stabile. Sarete trasportati dalla rumorosa confusione di una stretta strada trafficata in una dimensione diversa, luminosa, caratterizzata da un doppio paesaggio, lontano dalla città che avete lasciato alle vostre spalle. A sinistra, lungo le pareti di una scala elicoidale, si dispiega un giardino mediterraneo dominato dall’Etna sbuffato e innevato, mentre sullo sfondo del grande salone per il pubblico una vetrata raffigura una scena di pesca nel mare dello Stretto di Messina. Si tratta di due opere di Renato Guttuso che interagiscono magistralmente con l’edificio progettato dai BBPR, protagonisti dell’architettura italiana del secondo dopoguerra.
Quando l’edificio è già in cantiere, tra il 1963 e il 1964, Raffaele Mattioli, presidente della Banca Commerciale, incarica Guttuso di realizzare delle opere per la sede palermitana.
Il progetto dei BBPR si caratterizza per un inserimento efficace ma sommesso, fondato su un principio di continuità col tessuto urbano, e prende in ciò le distanze dagli altri edifici, già realizzati o in corso di costruzione a pochi metri di distanza, come la sede del Banco di Sicilia e il nuovo rione Villarosa, impegnati in una "prova muscolare" con la città esistente.
Anche Guttuso declina una poetica radicalmente differente da quella perseguita dagli artisti impegnati in temi analoghi nelle costruzioni limitrofe. Alle astratte figure allegoriche che simboleggiano la Sicilia e le sue attività lavorative, nel bassorilievo marmoreo dello scultore Nino Geraci, che si staglia su uno dei "Quattro canti di campagna", Guttuso contrapporrà una storia concreta, fatta dai volti, dai corpi, dalle mani di chi lavora ogni giorno.
L’architettura di una banca richiede un’iconografia precisa legata ai temi del lavoro che procede stabilità e ricchezza; a questi Guttuso aggiungerà l’anima dei luoghi per sottolineare la volontà di radicamento della Banca milanese nell’isola.
La grande vetrata decorativa e lo scalone per i piani superiori furono chiesti all’artista dal presidente Raffaele Mattioli
L’edificio con la sua architettura e le opere d’arte deve essere capace di parlare a tutti e a ciascuno, in un linguaggio che sia universale ma anche "regionale".
L’impossibilità di pensare a un’opera da realizzare in situ, che richiede la presenza continua del pittore in cantiere, induce a sperimentare tecniche e mani diverse. Sono probabilmente i BBPR a suggerire l’idea di una vetrata e a presentare a Guttuso l’artista milanese Glauco Baruzzi.
Per la grande vetrata Guttuso sceglie un tema che aveva affrontato più volte in estati lontane, trascorse a Sicilia: tra le opere di questa stagione il quadro "La pesca del pesce spada" del 1949. Qui una barca solca le onde, governata da quattro pescatori dei quali è visibile lo sforzo: un altro di vedetta scruta l’orizzonte. Avvolti da camicie bianche gonfiate dal vento, i muscoli dei pescatori appaiono tesi e pronti a una battaglia antica con il mare, mentre sotto le falde dei cappelli volti affilati e bruciati dal sole compaiono appena.
Nel trasporre il quadro all’interno del bozzetto per la vetrata, lo sguardo del pittore sceglie un punto di vista più distante che racchiude i pescatori all’interno di uno scenario più vasto. Scompare il cielo e la linea di orizzonte che lo separa dal mare, per dare spazio a un paesaggio fatto solo di acqua e di due brandelli di terra che si affacciano sullo Stretto. I due approdi hanno evidentemente un significato simbolico, ma servono anche a includere nella composizione i grandi tralicci metallici realizzati per consentire il passaggio di energia elettrica tra l’isola e la terra ferma, emblemi di un paesaggio industriale moderno. Altri 224 metri, i piloni vengono costruiti tra il 1951 e il 1955: non esistono ancora, quindi, negli anni in cui Guttuso dipinge La pesca del pesce spada. Il loro inserimento nella scena ha così diverse funzioni: dal punto di vista della composizione introduce una tensione prospettica lungo la diagonale della vetrata, che segna quasi un traguardo che i pescatori sono sul punto di tagliare; ma sul piano del significato introduce un elemento iconografico legato all’industrializzazione dell’isola che si affianca col suo carico di modernità ai luoghi tradizionali del paesaggio agrario e alle attività antiche dell’agricoltura e della pesca. Meno aspra la scena che si svolge lungo le pareti della scala, mitico Eden, non a caso privo di figure umane. Il paesaggio siciliano, senza il carico di dolore e fatica portato dagli uomini che lo popolano, appare come un incontaminato paradiso terrestre.
Questa volta è Guttuso a individuare materia, tecnica e artista: nato e cresciuto in una terra in cui la maiolica è arte, il pittore propone il ceramista Nino Caruso, siciliano di origini, approdato poi a Roma e all’esperienza dell’arte nei primissimi anni cinquanta. Guttuso e Caruso perseguono insieme l’idea di dare forza alla scala e raccolgono la sfida di rivestire con un manto prezioso la superficie curva che la avvolge, regalandoci una delle scale più belle della città e probabilmente di tutto il secondo Novecento italiano.
I disegni di Guttuso prenderanno così corpo attraverso una materia solida e compatta, opposta alla trasparenza del vetro, che riunisce memorie antiche e moderne di tecniche diverse. Il bozzetto viene trasformato in uno sviluppo di superficie pari a circa 80 metri quadri; su un modello in legno che riproduce – nel laboratorio romano – le pareti della scala, Caruso modella il paesaggio in bassorilievo e ancora oggi ricorda la complessità dell’esecuzione e la gioia, condivisa con Guttuso, del montaggio finale: «Durante la lavorazione, abbiamo vissuto momenti difficili per alcune parti che risultarono rotte dopo la cottura. Seguimmo con molta trepidazione la seconda cottura dei pezzi rifatti. All’apertura del forno risultarono perfetti, con gli stessi colori e tonalità dei precedenti. Per festeggiare il risultato positivo, bevemmo "oltre misura", come dice Socrate nel Simposio di Platone. Il pannello fu realizzato in un clima di piena armonia con i miei assistenti Empedocle e Enzo, vivendo una esperienza unica e il privilegio di lavorare per un grande artista come Guttuso».
«Vorrei essere appassionato e semplice, audace e non esagerato» scriveva Guttuso nel breve testo "La pittura è il mio mestiere"; è questo il carattere di tutti i protagonisti di questa storia: un committente illuminato, un gruppo di architetti che hanno fatto del lavoro comune la loro straordinaria cifra, un artista che si fida del talento di altri artisti. Artefici tutti di un’opera corale, colta e insieme popolare, nella quale il mestiere di ciascuno definisce e dà forma e forza a quello degli altri.
Paola Barbera, La Repubblica