L’influenza di Venezia su piatti e cucina di Trieste e dintorni
Nel 1432 la nave del capitano Pietro Querini fa naufragio nelle gelide acque a sud delle isole Lofoten in Norvegia. I superstiti, nei lunghi mesi che ci vogliono per riparare il vascello e poter rientrare a Venezia, devono fare i conti con le temperature nordiche ma anche con la mancanza di cibo. Facendo di necessita virtù, socializzano con gli abitanti del luogo e introducono nel menù di bordo il saporito e proteico “Stockfich”, il merluzzo conservato per essicazione. Di cui a galea riparata fanno ampie scorte e – dopo averne imparato la tecnica di conservazione – lo “importano” nella cucina veneta. Nasce insomma così la tradizione del baccalà, un evergreen della dieta nell’Alto Adriatico, dalle Venezie passando per il Friuli e fino all’Istria. Lo racconta nel capitolo “Le buone cose delle galee” Ulderico Bernardi autore di “Venetia fragrans, cucina e identità a Nord Est”, un libro fresco di stampa di Terra Ferma Editrice, che sarà presentato a due voci domani pomeriggio alle 18 alla libreria Lovat, dall’autore stesso, docente di sociologia dell’alimentazione all’Università di Venezia, e da Marino Vocci, presidente dell’associazione ambientalista Marevivo, nell’ambito della rassegna “Adriatico, una storia scritta sull’acqua: natura, cultura, economia e paesaggio del Mare”. Il nuovo appuntamento – in partnership con Gruppo Primorski Dnevnik, Museo del Mare-Pomorski muzej “Mašera”, Comunità degli italiani “Tartini” di Pirano – attraversò la variegata tavolozza delle tradizioni enogastronomiche giunte dalla Serenissima nei secoli sul territorio, apre una finestra sull’influenza di Venezia sulle nostre tavole. «Il cibo racchiude una vasta gamma di significati e connotazioni. È uno tra gli specchi della società e ne delinea un contesto storico. È dono, sazia il bisogno di identità, fotografa il territorio, ma è anche convivialità e scambio con altre culture oltre ad essere il barometro dell’evoluzione della società», spiega Vocci, anticipando la struttura del volume, diviso in sette sfiziosi capitoli, ricchi di curiosità storico-gastronomiche e di costume. Una parte è infatti dedicata alla ritualità a tavola, quando gli allora nutriti nuclei famigliari si riunivano per festeggiare insieme Pasqua, Natale, Capodanno e feste comandate, con un ferreo menù tramandato di madre in figlia. Tra le sezioni del volume di Bernardi, pure membro della giuria del premio Nonino, anche “Una lunga bevuta”, dedicato alla storia del vino, in cui si sofferma sulle origini della Malvasia istriana. Si scopre così che il vitigno è approdato sulla penisola quamerina secoli fa dall’isola di Samos, in Grecia. Mentre è davvero dietro l’angolo che era prodotto quello che era considerato “l’oro bianco” nella società pre-industriale: il sale delle rinomate saline di Pirano, note sin dai tempi dei Romani, che transitava lungo la redditizia rotta da Sicciole fino al nord Europa. Venezia, che nei secoli ha lasciato la sua cifra distintiva ben marcata nella Venezia Giulia e in Istria, rappresenta dunque uno dei fili conduttori per comprendere l’evoluzione delle tradizioni legate al palato e alla cultura del cibo di queste terre.
Patrizia Piccione
Il Piccolo (7 aprile 2014)