Cultura e identità venete a tavola
Culla e scenario di numerose civiltà, il Veneto rappresenta la cornice ideale per parlare di multietnicità a partire da un elemento quotidiano nella vita umana: il cibo. La cucina della nostra regione si presta in particolare, rispetto ad altre identità territoriali, ad una commistione di palati diversi, magistralmente raccolti nel libro “Venetia Fragrans. Cucine e identità a Nord Est”; recente opera di Ulderico Bernardi, membro della prestigiosa Accademia della cucina, docente di Sociologia dei processi culturali e del turismo presso l’Univers.ità Ca’ Foscari di Venezia. Un’opera, edita da Terra Ferma, che racchiude tutto il patrimonio della cultura gastronomica del Triveneto, dai precetti culinari diffusi sin dal Quattrocento alle spezie giunte dal lontano Oriente, il Nord Est emerge come un luogo senza pari, uno spazio in cui le vicende storiche si sono intrecciate nei secoli, creando un ambiente d’eccellenza per pietanze che qui traggono origine, come suggestivo frutto di un impero senza tempo, in continuo divenire. Il testo si snocciola tra le suggestioni storiche: dagli alimenti tipici delle galee fino al mais, che giunto dall’America trovò qui terreno fertile (mai metafora fu più azzeccata), come fulcro dell’identità alimentare di un territorio. È dal 1592 che questo prezioso ingrediente, naturalizzato nel Trevigiano, viene commerciato per produrre il pane o la polenta, che ha reso·famosi i veneti nell’intera penisola. Segue l’analisi di come la carne sia divenuta fattore principe sulle tavole: l’idea del consumo in ogni sua parte per le famiglie più povere o l’abbinamento al bere nelle osterie, l’hanno resa immancabile nella dieta quotidiana nostrana, controllata per secoli e con rigore, nella qualità e nei prezzi, dalla Serenissima Repubblica. Bernardi si sofferma poi sulla magistrale grappa veneta: che la si chiami graspa, sgnapa o resentin emerge la sua importanza nelle relazioni sociali, come elemento di vera e propria coesione. Si arriva così a un ragionamento anche sul contesto della corte e sul suo andamento stagionale che, cadenzato dai santi del calendario e dalle lune, è oggi più attuale che mai, nel ritorno alla ricerca di materie prime proprie del periodo, con proposte gastronomiche che rispettano la natura e la lealtà alimentare.
L’accento si sposta infine sui prodotti-simbolo, come la patata, umile tubero delle Ande, che ha iniziato a diffondersi nelle nostre terre dopo l’Ottocento e deve il suo successo alla forte presenza delle truppe austriache che in quel periodo storico la richiedevano e ne hanno favorito la coltivazione. O i gamberi di fiume e in generale tutta la pesca d’acqua dolce, capace di alleviare la fame di intere generazioni, e il pane, che onora la tavola ed è simbolo della generosità dell’uomo, della condivisione, portatore di antichi significati. Ancora la zucca, l’uovo, il vino, elementi tuttora di aggregazione, attorno a una tavola o ad un bancone. L’autore si lascia andare anche a una riflessione su come siano cambiati i tempi odierni: spesso ai bar si vedono persone voltate a giocare con le macchinette, chiuse in un individualismo che entra in contrasto con la ricerca di un mercato sempre più globale, come la società richiede. È così che di pagina in pagina, tra profumi e aromi, osterie e corti, l’opera si conclude con un’analisi della Glocalizzazione, la corrente di pensiero ed economica attuale che riconosce la necessità dell’identità, delle radici pur in una prospettiva di internazionalizzazione. Un rapporto tra territorio e persone che tuttavia non può evitare i mercati finanziari globali. Un momento che, sebbene possa apparire anche caotico, in realtà si rivela occasione di rivalsa per la nostra cucina già ricca di influenze, in un Paese con cinque milioni di immigrati pronti a conoscerla e, perché no, come avviene da secoli, a darne una loro gustosa interpretazione.
Anna Zuccaro
(L’Azione, 9 febbraio 2014)