I sapori della cucina veneta
Felice mescolanza di culture che fanno ricca la tradizione dei nostri luoghi
Le spezie d’Oriente, che fecero del mercato di Rialto la “Wall Street” europea; l’introduzione del mais “gloria veneta”; la diffusione dell’editoria in materia di precetti culinari e di buona salute fin dal Quattrocento; la suggestione di pietanze tipiche delle varie parti di un impero multietnico che si estendeva dalle province lombarde alle isole greche; le esperienze e i costumi proposti dalla rete di ville patrizie in tutta la terraferma: sono altrettanti elementi che fanno ancora del Nord Est italiano un’area baciata per l’offerta enogastronomica.
“L’identità alimentare dei popoli offre buone opportunità per vagliare la persistenza culturale nel mutare della storia” premette Ulderico Bernardi in apertura del libro Venetia Fragrans, cucine e identità a Nord Est. La storia di una civiltà si può considerare anche muovendo da un semplice piatto di polenta e baccalà, cominciando ad osservare compiaciuti il misurato sobollire di un trancio di stoccafisso in padella messo a cuocere al mattino presto.
L’arte della buona cucina e dello stare a tavola, che nella Repubblica Serenissima ha conosciuto il suo trionfo, è ricca di simboli che trovano nella religione riferimenti precisi. Nella pianura disegnata dal corso del Piave, è possibile seguire un itinerario suggestivo lungo il tracciato delle “ultime cene” dipinte tra il quattordicesimo ed il sedicesimo secolo in tante piccole pievi rustiche sparse nel verde della campagna. Terra di risorgive che danno origine a tanti piccoli fiumi, come ad esempio il Lia. Quelle sottili vene d’acqua ospitavano numerosi gamberi, che l’antica iconografia assunse a simbolo della resurrezione di Cristo.
Li troviamo nella tavola imbandita per l’“ultima cena” rappresentata nel 1446 da un anonimo pittore sulla parete nord della solitaria chiesetta di San Giorgio presso San Polo di Piave.
Sulle altre pareti scorrsono episodi della vita di San Giorgio, difensore della fede e patrono delle acque; e ancora San Bernardino invocato insieme a San Sebastiano contro la peste; Sant’Antonio Abate, venerato a protezione del bestiame; e San Giacomo Maggiore, capace di allontanare il cattivo tempo e di preservare dai dolori reumatici, tanto frequenti in queste zone umide.
Di pagina in pagina, Ulderico Bernardi che appartiene alla prestigiosa Accademia Italiana della Cucina, guida il lettore in un viaggio fatto di tappe gustose e di soste piacevoli tra storie e leggende, con un’originalità che riesce a conquistare anche i palati più sprovveduti. Si passa così da un antipasto di storia alle buone cose delle galee, a delizie dell’altro mondo nelle terre dei patriarchi, ad una lunga bevuta per ricordare, alle godurie di quattro stagioni, ai piatti della simbologia, per finire con i riti ed i segni.
In un itinerario tanto saporito, non potevano mancare i profumi dell’osteria, come qualla delle sorelle Ada e Olga, minuscole e gentili, che in un’unica stanza servivano ombre di raboso ai giocatori di tresette e bicchierini di marsala all’uovo a soddisfare le tentazioni di donne in età. Gli autisti di passaggio potevano gustare il sapore dei buoni salami all’aglio appesi al soffitto.
Da tempo, il portoncino di legno dipinto di verde è defitivamente chiuso. Colpa della “glocalizzazione” che ha stravolto il quadro economico o semplice ineluttabilità dello scorrere delle stagioni per tutti?
“Il Dialogo”, dicembre 2013