La ricchezza della povertà
Dai funghi ai frutti di bosco, dai formaggi agli affettati, il volume Cucina di montagna (Terraferma, pp 144, euro 9,90) traduce in ricette gli ingredienti e i sapori “poveri” della montagna triveneta. Una cucina che per secoli ha dovuto fare i conti con le ristrettezze economiche di un territorio difficile e che, anche per questo, è stata etichettata come “povera”, basata sulla polenta, sui cavoli, sui fagioli e sulle patate. Una cucina che ora si rivela nella sua ricchezza di varietà e di qualità, risultato di un’influenza esercitata in maniera costante dalle cucine limitrofe, da quella tirolese alla carinziana, dalla boema alla veneta delle pianure. E della fragranza di formaggi divenuti famosi come l’asiago e il montasio, di insaccati d’eccellenza tra cui spicca la luganega, di ortaggi e frutta di montagna su cui eccellono, gloriosamente, la patata di Rotzo e i fagioli di Lamon.
Con l’aiuto di una lunga lista di ristoranti e le immagini di Cristiano Bulegato, il volume presenta quindi un gran numero di ricette che mettono in risalto il sapore composito eppure unico della tavola montanara. E se sulla tavola compaiono evidenti i segni della fame atavica (basta annotare piatti come lo “smacafam” o il risotto di erbe aromatiche spontanee, o quello con ortiche ed erbe di campo) non possono non brillare anche le gustose genuinità di piatti elaborati e prelibati. Citiamo i “casunziei all’Ampezzana” con ripieno di rape, patate e grana o la “lepre alla caprilese” cotta in una salsa composta di fegato, soppressa, prezzemolo e mela. Tra i dolci non potevano mancare la crostata di ricotta e lo strudel di mele, che si affianca al tradizionale castagnaccio e alla torta di pane, versione dolce della “panada” in cui si riciclava il pane raffermo.