Ospiti silenziosi. I curdi in Italia
[blog Istanbul, Avrupa]
Dopo il pogrom contro la minoranza Rom a Torino e la barbara uccisione di due senegalesi a Firenze, si rifa viva l’urgenza di parlare di minoranze etniche in Italia. I curdi non rappresentano numericamente un gruppo vasto. Sono molto più folte le comunità che si trovano in Germania, in Francia, in Inghilterra. Dato che però parlare di immigrazione nel nostro paese ci costringe proficuamente anche a parlare di altri luoghi, di tragedie che si consumano su altre terre, è giusto riconoscere il merito di questo volume apparso nel 2008 grazie all’impegno delle province di Milano, Roma, Venezia e dell’editore Terra Ferma. Vi si raccolgono le testimonianze di sei immigrati curdi che hanno trovato, attraverso dolorose peripezie, ospitalità in Italia. Mi sia concessa una domanda: se noi dedicassimo una piccola parte del nostro tempo a parlare con la gente che bada ai nostri anziani, con coloro che ci vendono rose a accendini nelle pizzerie, con coloro che d’estate battono le spiagge vendendo borse taroccate della camorra a coloro che si sfiziano del becero gusto piccolo-borghese di avere un oggetto griffato, se noi spendessimo del tempo a parlare con chi ha attraversato guerre e mari per arrivare qui e vedersi distrutta anche la speranza, avremmo bisogno di questo tipo di libri? No. Ma siccome noi preferiamo commuoverci per le tragedie degli altri quasi ed esclusivamente quando siamo seduti sui comodi divani di casa nostra, c’è bisogno di editori e di studiosi che ci portino questa gente dentro casa, che ci facciano sentire la loro voce!
A parte l’agile e valida introduzione storica alla questione curda firmata in apertura da Baykar Sivazliyan (luminare in Italia di lingua e letteratura armena e turca), e al di là delle bellissime foto fornite dall’Ufficio informazioni del Kurdistan di Roma (UIKI), il libro ci restituisce la voce viva di donne e uomini fuggiti da una terra miserabilmente oppressa: Hevi Dilara (una cui poesia è stata cantata da Elisa e il cui racconto ci porta all’interno del Campo Boario nella casa dei curdi di Roma, Ararat), Cizreli Ali e la sua famiglia sistematasi a Spinea; Cuma Erkul che si è fermato a Venezia dopo l’odissea fra i CPT e i confini di mezza Europa; Nedret Tanrıkulu, vedova di un martire politico e fedele assistente del leader Abdullah Öcalan, la voce di un anonimo che ci racconta di aver “varcato clandestinamente più di 150 volte i confini europei tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta”; infine Memet Yuksel, arrivato dalla Danimarca e responsabile di UIKI. Voci della diaspora. Voci che grazie a questo libro rompono il silenzio imbarazzante che le attornia. Ospiti silenziosi, appunto. Ospiti che forse di proposito si lasciano nel silenzio. Perché ospiti diversi. I curdi emigrano principalmente per ragioni politiche. Le ragioni economiche sono secondarie e comunque conseguenti alle scelte politiche del governo turco. Il Kurdistan è una regione ricca: d’agricoltura, d’acqua, di petrolio; se dimentichiamo questo, perdiamo il quadro della situazione. Quasi tutti i protagonisti dei racconti tengono a precisare che loro, quando partirono, erano benestanti. Non ricchi, va bene, ma della terra, degli animali, un lavoro l’avevano. Ora qui in Italia devono fare i conti con povertà e sfruttamento. I curdi dispersi in Europa fuggono dalla Turchia per essere stati attivi e vigili contro i processi di assimilazione e oppressione messi in atto dallo stato turco ed essersi trovati un giorno braccati dalle autorità. Per questo sono ospiti scomodi un po’ ovunque, in un Europa che da sempre intrattiene importanti commerci con la Turchia e che con quest’ultima ha relazioni diplomatiche solidissime. L’ostensione della difesa dei diritti umani s’affloscia davanti alle più pregnanti questioni economiche e diplomatiche. Conviene allora tornare all’introduzione storica di Sivazliyan che esemplarmente dimostra come la questione curda, sorella di quella armena, sia figlia largamente di politiche europee. Sivazliyan, dopo un excursus sulle origini, ripercorre le vicende connesse alla prima guerra mondiale da un punto di vista curdo, mostrandoci come non ci sia concesso il lusso di considerare quella storia lontana da noi. Così come più in generale quella di tutto il Medioriente.
L’identità di rifugiati politici degli ospiti curdi in Italia però non consente a questo libro di darci un quadro realistico e agganciato al presente della situazione attualmente in processo nel Kurdistan turco. I racconti dei nostri ospiti infatti sono legati agli anni bui della questione curda: gli anni Ottanta e Novanta. Molto è cambiato nel primo decennio del ventunesimo secolo, non sempre in meglio. La società curda è molto più variegata di quanto possa emergere dai racconti di rifugiati politici. Mentre apparentemente la Turchia mostra una progressiva, seppur lentissima, democratizzazione, le politiche assimilatorie registrano le loro sostanziali vittorie: molti curdi non sanno più leggere e scrivere la loro lingua madre e in molti casi non sanno neanche parlarla. Il controllo della società civile, abbandonando le vie militari, ha intrapreso la strada più “pulita” delle persecuzioni giudiziarie. Le forze militari, sia quelle turche che le milizie del PKK, sembrano ormai incastrate in un gico di posizione che non fa guadagnare alcun punto di democrazia al paese (anzi!), mentre negli anni Ottanta la lotta armata era stata l’ultima ed unica risorsa lasciata al popolo curdo. Potrei continuare a lungo. Mi fermo qui. Questo Ospiti silenziosi è un libro importante, un libro di testimonianza che sensibilizza e che presenta i curdi a una platea italiana troppo speso distratta. Non può bastare però per capire a fondo la questione. E ciò di cui il lettore italiano ha bisogno, oltre che indignarsi per le ingiustizie perpetrate, è capire cosa può e cosa deve fare. Perché la questione dei fratelli curdi, dei fratelli turchi, dei fratelli rom e senegalesi è una questione che lo riguarda da vicinissimo.
di Francesco Marilungo
(Baykar Sivazliyan, Ospiti silenziosi. I curdi in Italia, Terra Ferma, Vicenza, 2008. ISBN 978-88-89846-99-5)