La bellezza difficile
[Avvenire]
ADDIO A ZANZOTTO
Aveva inventato gli «ipersonetti», inclusi nel 1978 in una delle sue raccolte più riuscite, Il Galateo in Bosco. Ne parlò con entusiasmo Antonio Porta nella sua antologia, oggi più che mai preziosa, Poesia degli anni settanta: «Ho sentito un’apertura verso un sapere altro, insieme classico e nuovo, nuovo proprio nel senso in cui si sta ora muovendo la poesia, verso una ragione organizzata ma opposta a quella del dominio». Parole del 1979, ma ancora decisamente attuali, tanto che nella sua recente lettera per il compleanno del poeta Giorgio Napolitano, che ne ammira il passato di antifascista, militante nel movimento Giustizia e Libertà, lo elogia per la «limpida voce», la «severità appassionata» e «l’amore che rivolge alla natura ferita». Andrea Zanzotto aveva appena compiuto novant’anni e si è spento ieri all’ospedale di Conegliano per le complicazioni di un malanno alle vie respiratorie. Lasciando tutti sorpresi con questa uscita di scena nel pieno dei festeggiamenti per il suo compleanno, celebrato solo pochi giorni fa, il 10 ottobre. Il poeta ha fatto appena in tempo a vedere una nuova pubblicazione dedicata a lui, il numero monografico della rivista "Autografo", intitolato I novanta di Andrea Zanzotto. Studi, incontri, lettere, immagini, che insieme al suo ultimo libro a cura di Giovanna Ioli, Ascoltando dal prato. Divagazioni e ricordi, l’editore Interlinea ha presentato proprio lo scorso 17 ottobre all’Università Cattolica di Milano, con la partecipazione della moglie Marisa. Non riuscirà invece ad assistere al convegno che la sua cittadina natale, quella Pieve di Soligo in provincia di Treviso che lui stesso aveva reso famosa coi suoi versi, soprattutto proprio con Il Galateo in Bosco, gli stava preparando per il prossimo 28 ottobre: in quell’occasione il sindaco, di concerto col governatore della regione Veneto, ne avrebbe rilanciato la candidatura al Premio Nobel. Nella sua lunga carriera letteraria, che lo ha visto anche allievo di Diego Valeri all’Università di Padova, Andrea Zanzotto aveva vinto molti premi importanti, non solo in Italia: per esempio il Viareggio nel 1978, il Librex-Montale nel 1984, il Bagutta nel 1999. E aveva pubblicato molti libri di poesia salutati dalla critica come pietre miliari della storia letteraria del secondo Novecento, da Dietro il paesaggio del 1951, fino a Conglomerati, la raccolta uscita nel 2009 per "Lo Specchio" di Mondadori. Proprio Mondadori ha appena pubblicato, con la cura e l’esaustiva introduzione del poeta e studioso Stefano Dal Bianco, il volume Tutte le poesie nella collana "Oscar poesia del Novecento". Il suo è stato un percorso poetico innovativo, in cui la potenza del linguaggio, in tutte le sue varianti, è sempre stata in primo piano. Zanzotto si avvale dell’energia arcaica del dialetto, della sua primordiale espressività, ma lo trasforma, ne esalta la dolcezza ritmata, facendolo rivivere in filastrocche plurilingui, tra cui molti ricorderanno quelle in un veneziano reinventato per il Casanova di Fellini, incluse nella raccolta Filò del 1976. Un’energia tellurica e infantile insieme che nel 1978 aveva spinto uno dei più grandi studiosi e critici del Novecento, Gianfranco Contini, a coniare per lui la definizione di «difficile e pur tanto affabile poeta ctonio», sottolineando il suo legame con la terra e le origini. Mentre nel 1996 Stefano Giovanardi, riprendendo l’analisi di Stefano Agosti, aveva parlato di «ontologia del linguaggio» a proposito del suo considerare questo strumento umano come «una dimensione affatto autonoma rispetto alla realtà, e al tempo stesso davvero "totale"». E quest’anno Carlo Ossola ha curato, e presentato a Padova lo scorso 10 ottobre, il volume Zanzotto: nessun consuntivo, edito da Antiga Edizioni, che fin dal titolo evidenzia una vitalità poetica e umana, che poteva sembrare invincibile. Dunque convive in Zanzotto una complessità di suggestioni culturali, sia classiche sia popolari, che però nei testi si distende in una semplicità anche visiva, tanto che a volte le poesie sono accompagnate da piccoli disegni in bianco e nero.
Questa affabilità a tratti colloquiale, a tratti invece più ermetica, gli permette di includere il mondo e i temi più attuali nel suo sguardo poetico: come le ferite inferte al paesaggio dal «progresso scorsoio» (diventato anche il titolo di un suo volume-intervista del 2009), che vanno di pari passo alla disgregazione dell’identità umana, recuperata tenacemente nelle radici più antiche, letterarie e ancora una volta dialettali, nella raccolta Sovrimpressioni del 2001. O, come testimonia l’intervista recentemente rilasciata a questo stesso quotidiano, ricorrendo alle potenzialità anche spirituali della poesia, che come «tutto quello che tende a innalzare il livello di coscienza ha una funzione simile alla preghiera» e può ancora, nonostante il nostro mondo in cui «stimoli di ogni sorta si accavallano tra loro, educare alla bellezza».
Bianca Garavelli