Zanzotto, l’odissea della parola e della vita
[la Nuova di Venezia e Mestre]
Un omaggio all’uomo che scrive versi da sessant’anni, e non si è stancato. Restando nella sua isola, fisica e psicologica e poetica
«Non consuntivo», in anteprima il libro che celebra i novant’anni del poeta di Pieve di Soligo
Nessun consuntivo e non potrebbe essere altrimenti. Perché nonostante abbia toccato i novanta anni ed abbia superato i sessant’anni di attività poetica, Andrea Zanzotto non ha ancora chiuso la sua parabola. Solo due anni fa è uscito "Conglomerati", la sua ultima raccolta di poesie, e altre carte sono ancora chiuse nei cassetti. Ma non è solo questo. È anche che la poesia di Zanzotto non si lascia incapsulare, non si lascia racchiudere, e dunque è impossibile tirare le somme. Perciò "Nessun consuntivo", il libro voluto dalla Regione del Veneto e pubblicato da Antiga Edizioni per i novant’anni di Zanzotto, è soprattutto un tributo in immagini e parole ad un poeta che ha fatto del legame con la terra e col paesaggio uno dei nodi portanti della sua opera. Il libro è diviso in tre parti. La prima è una lettura da parte di Carlo Ossola, uno dei maggiori filologi italiani, dell’opera di Zanzotto. Il titolo del saggio «In illa insula immotus» è tratto da una poesia di «Sovrimpressioni», la raccolta che Zanzotto ha pubblicato quando ha compiuto ottant’anni. E l’isola è duplice. Da un lato è il luogo, l’angolo di mondo che Zanzotto ha scelto non solo per vivere ma anche per creare poesia. È Pieve di Soligo, è la casa dove è nato, è la campagna trevigiana che fa da sfondo a moltissime sue poesie. Dall’altro l’insularità sta nel rinchiudersi della poesia di Zanzotto in un nucleo immobile: «i pensieri ossessivi o negativi son sempre là che fanno, non dico un vero e proprio ba-bau, ma insomma… Restano i problemi di sempre: siamo qui perché, per cosa, per come, val la pena non val la pena». Ma l’insularità –secondo Ossola – è anche nella forma poetica di Zanzotto, quel suo amare il sonetto, per esempio, non solo come richiamo a Petrarca o Mallarmé, ma soprattutto perché forma chiusa, regolata, capace di ospitare il contro-utopia che, secondo il critico, Zanzotto condivide con Calvino: quella utopia che «negando criticamente ogni illusoria costruzione di senso«, finisce per enucleare una verità povera, prossima allo zero, ma comunque autentica. E in omaggio a questa insularità le immagini scelte per accompagnare il testo sono quelle delle case di Zanzotto: la sua e quella di famiglia, quella dove è nato.
La seconda parte del libro, in contrapposizione ma non in contraddizione, è l’apertura verso il mondo. Ci sono le immagini di famiglia, certo, c’è Zanzotto bambino, ma ci sono anche i poeti, gli amici intellettuali, Fellini e Parise, Fernanda Pivano, Mario Rigoni Stern e tanti altri, a raccontare come l’isola non sia la negazione del resto del mondo, ma un guardare al mondo solidamente radicati anche nei propri dubbi, nelle angosce, nelle ossessioni. La terza parte, la più ardita in qualche modo, è fatta di poesie, una piccola scelta in un’opera imponente (e Mondadori si appresta a raccoglierla in un nuovo Oscar aggiornato) accompagnata dalle immagini fotografiche di Nicola Smerilli, che ha provato a interpretare i testi. Una piccola antologia che non vuole documentare l’evoluzione stilistica di Zanzotto, il suo inesausto indagare le possibilità del linguaggio, ma semplicemente estrarre dei momenti singoli, luminosi, tappe di quell’ostinata odissea della parola che è l’opera dell’isolano Zanzotto.
di Nicolò Menniti-Ippolito