Tiziano Il genio in camera da letto
[Il Gazzettino – Udine]
Da FriulAdria il terzo volume sui "Luoghi della modernità" con una lettura inedita e affascinante della sua poetica pittorica.
Nell’ormai collaudata e prestigiosa collana "I luoghi della modernità" FriulAdria propone il volume "Nelle camere da letto di Tiziano", realizzato in collaborazione con la casa editrice Terra Ferma di Vicenza…
Monsignor Giovanni della Casa, l’autore dell’ancora imprescindibile ma così spesso dimenticato Galateo de’ buoni costumi, doveva la sua carriera ecclesiastica al cardinal Alessandro Farnese.
Quest’ultimo gliela aveva vivamente suggerita ancora all’inizio degli anni ’30 del XVI secolo: quasi tre lustri dopo della Casa era felicemente divenuto arcivescovo di Benevento. Proprio nel settembre di quello stesso anno, il 1544, Giovanni scrive ad Alessandro una celebre lettera, che contiene due giudizi fulminanti su altrettanti dipinti di Tiziano. Vi leggiamo infatti che il pittore «ha presso che fornita (finita) una nuda che faria venir il diavolo addosso al cardinal di San Sylvestro (il severo domenicano Tommaso Badiani)».
Si tratta della strepitosa Danae, commissionata dallo stesso cardinal Farnese che è ora conservata al Museo di Capodimonte a Napoli, di cui Monsignor della Casa sottolinea dunque la profonda sensualità; il secondo giudizio, per confronto, è nella frase successiva, che recita: «et quella che (lei stesso) vide in Pesaro nelle camere del signor duca d’Urbino è una teatina appresso a questa…». Questa "suora teatina", così castigata rispetto alla Danae, è una delle opere cruciali dell’intero Rinascimento italiano: è la cosiddetta Venere di Urbino, ora agli Uffizi, che a ben pochi spettatori, dopo della Casa, ha dato la sensazione di essere una "religiosa", visto che su quella tela per la prima volta un pittore dipinge una divinità nuda, sdraiata – e fin qui passi – ma sveglia, non beatamente addormentata come aveva fatto Giorgione nella sua Venere, ora a Dresda. Sveglia, e con uno sguardo che non richiama certamente né orazioni né penitenze.
Sei anni separano tra loro Venere e Danae. In mezzo probabilmente il grande pittore cadorino aveva inoltre dato inizio alla sequenza, anch’essa piuttosto intrigante, delle Veneri con musicista, ma non si deve pensare per questo che il nudo femminile fosse uno dei soggetti prevalenti nel repertorio tizianesco. Per trovare un segno altrettanto eloquente occorre risalire addirittura all’inizio del secondo decennio del secolo, al cosiddetto Amor sacro e Amor profano della Galleria Borghese, che è comunque un castissimo dipinto "coniugale", come ormai ha dimostrato la critica.
Ciononostante, da quel momento in poi, gli Nfsi (nudi femminili sdraiati inattivi: o quasi) di Tiziano divengono una sorta di ineliminabile paradigma. Ripreso da Tintoretto, da Sustris e da Veronese, da Poussin e da Rembrandt, fino all’Olympia di Manet e avanti, sino ai giorni nostri. Gli artisti avevano insomma colto, da subito e per sempre, la perdurante modernità dell’esito tizianesco: e avevano compreso che non si trattava tanto di corpi, ma del modo in cui erano disposti. E del dove: altri pittori avevano raffigurato prima di allora delle camere da letto, ma mai nessuno sin lì aveva rappresentato in quel modo il contatto tra un letto e un corpo di donna. Bisogna guardare i cuscini, le lenzuola, le coperte; bisogna accorgersi che il link corpo-letto agglutina tutti gli elementi del dipinto.
Questo, in estrema sintesi, è ciò che ho cercato di ragionare ne Le camere da letto di Tiziano, il terzo volume (160 pagine, oltre 200 illustrazioni a colori) della collana "I luoghi della modernità" promossa da Banca Popolare FriulAdria, appena pubblicato dalle edizioni Terra Ferma. E con quasi 30 volte lo spazio di questo articolo ho cercato naturalmente di spiegare anche il perché Tiziano avesse voluto rivoluzionare così profondamente il nostro rapporto con il letto e la camera che lo contiene e cosa ciò abbia poi comportato, nella cultura veneta del Cinquecento e nella storia dell’arte europea. E tutto questo però è meno facilmente riassumibile in poche righe.
Anche perché devo almeno accennare alle altre due parti che compongono il ricco volume. Nella seconda cinque grandi chef (due eccellenze assolute della ristorazione italiana, come Carlo Cracco e Fabrizia Meroi, altri più giovani ma comunque acclarati maestri: Simone Padoan, Renato Rizzardi, Andrea Spina) presentano ciascuno un "progetto gastronomico". Non una ricetta, ma una riflessione davvero "moderna" su due temi strettamente congiunti alla galleria dei nudi tizianeschi: la prima colazione e la cucina afrodisiaca.
Da tre anni la collana di FriulAdria coniuga infatti i vertici dell’arte rinascimentale veneta, intessuta per l’appunto di "progetti" destinati a mutare la nostra esperienza del mondo, e le eccellenze della gastronomia italiana. La cifra comune (anche alla Banca, implicitamente) è quella del progetto e del territorio, e da storico dell’arte appena appena gourmand devo riconoscere che arte e cucina stanno ormai molto bene insieme.
Nell’ultima parte del libro, 12 ricette dei secoli andati vengono "tradotte in moderno". Quest’anno il tema prevalente resta quello della cucina afrodisiaca e tutti gli chef che vi si sono impegnati esercitano a Trieste, una città che al riguardo se ne intende.
(*) Università Ca’ FoscariVenezia