Cornetto, il "copyright" è veneziano
[La Stampa]
Nel ‘600 arrivò in Laguna il dolce che celebrava la vittoria sui turchi
Torino
Il parco che circonda la Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence, a pochi passi da Nizza, sembra quasi irreale per le sculture e le fontane di Miró e Chagall. Accanto, il piccolo bar nascosto nel verde è arredato con tavolini e sedie intarsiate di Giacometti. La locandiera spolvera il marmo del bancone, sospira e chiede ai turisti italiani: «Adoro il mio lavoro e mi piace farlo come si deve, perciò ditemi, non mi offendo: il mio cappuccino è buono come il vostro?».
Il primato italiano è un mito. Non fosse altro che il cappuccino lo prepariamo da più tempo. E lo serviamo insieme al «cornetto», alias «brioche», alias «croissant»: la loro patria, nonostante i nomi francesi, è l’Italia. Più precisamente, Venezia.
La tesi è di Gianni Moriani, ideatore del master in «cultura, cibo e vino» all’Università Ca’ Foscari che sull’argomento ha scritto un libro «Cornetto e cappuccino. Storia e fortuna della colazione all’italiana» (edizioni Terra Ferma).
Le prime notizie del caffè, materia indispensabile per un buon cappuccino, lo descrivono «acqua negra» e sono del 1615: le portarono a Venezia i viaggiatori da Costantinopoli. Per gli stretti rapporti economici i commercianti italiani, levantini e lungimiranti, decisero d’importarlo. Trent’anni dopo, nel 1645, accade ciò che oggi si definisce un boom: Goldoni alla bevanda dedica una commedia, Bach compone una cantata. L’«acqua negra» entra nella cultura e frequentare i «caffè» diventa un modo di essere della borghesia veneziana. Ma il lusso, come spesso accade, finisce per essere gustato anche dalla povera gente. E dei poveri frati: uno di loro, nel 1683, inventa il cappuccino.
Marco da Aviano, diplomatico raffinato dall’eloquio straordinario, viene mandato a Vienna dal Papa per coalizzare la lega cattolica contro il nemico turco. Qui, per gustarsi un caffè (che da Venezia intanto aveva raggiunto il resto dell’Europa) entra in una bottega accanto al Duomo: non gli piace granché, l’aroma è troppo forte, chiede di aggiungere acqua, poi latte e il colore scuro vira verso il marrone. Assomiglia a quello del saio che indossa. L’esclamazione di chi lo serve, per quanto lapalissiana, è la più immediata: «Kapuziner!».
Ma non esiste cappuccino senza croissant, e il professore Moriani, nel libro, spiega anche le origini del dolce che nel nord Italia si chiama «brioche» e nel centro sud «cornetto». Il primo termine deriva da «brier», impastare, il secondo ha una chiara valenza popolare partenopea. Ma «croissant» che vuol dire?
L’origine della nascita del dolce è nella scelta francese del nome: significa «crescente». Come la luna nella bandiera turca. Già perché il cornetto è legato all’assalto ottomano a Vienna nel 1683, un anno decisivo per la colazione italiana. I turchi strategicamente pensarono di sorprendere l’esercito di notte. A far fallire l’attacco, una categoria che di notte lavora, i fornai. A molti di loro si deve la vittoria dell’Austria e a uno soltanto la creazione del dolce per festeggiarla: una pastafrolla a forma di mezzaluna – appunto «crescente» – il «kipferl»: per mangiare simbolicamente gli ottomani.
E così, poiché la repubblica di Venezia confinava con l’Austria, «il dolce – dice certissimo il professor Moriani – prima di arrivare in Francia per la golosità di Maria Antonietta, è sbarcato in laguna col nome "chifel". Ci sono tomi, documenti a confermarlo».
Un cumulo di certezze per il professore e la barista della Fondation Maeght che in attesa della risposta sulla qualità del suo cappuccino scruta l’espressione degli italiani: «Lo so, il segreto è nell’equilibrio dei sapori e nella consistenza della schiuma. Battaglia persa: sono doti che voi avete nel dna».
Elena Lisa